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Racconti di trincea – “Il Pepoli”

di Cristiano De Santis, 3E

Utente RIIC82500N-psc

da Riic82500n-psc

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Immagina di essere un soldato al fronte durante la prima guerra mondiale e di scrivere una lettera a uno dei tuoi cari in cui parli delle giornate in trincea, racconti dei tuoi compagni e delle tue sensazioni di solitudine, paura, orrore, speranza.

Caporetto, 3 novembre 1917

“Caro Giovanni, amico mio, penso che il fatto che tu ti sia salvato da quella scheggia sia un miracolo del Signore, ogni giorno ho pregato affinché tornassi a casa salvo, e finalmente sei fuori pericolo e il mio animo è finalmente in pace, o quasi: come forse già sai, qualche giorno fa, è avvenuta la disfatta di Caporetto, ma prima facciamo un passo indietro.
A causa della tua lunga permanenza in ospedale a causa del tuo coma, probabilmente non ricorderai nemmeno l’amarezza della vita in trincea.
Ad ottobre l’autunno è assai severo nell’ambiente circostante; gli alberi spogli, la brezza umida e le poche foglie che non giacciono secche a terra, sono di un colore spento, non è un’atmosfera bellissima diciamo. L’autunno è come una gomma che cancella il colore del mondo.
Nella trincea fa molto freddo fortunatamente ci mettiamo spesso in delle camere accalcati per riscaldarci a vicenda, nell’aria risuonavano colpi di fucile che coprivano le urla di dolore.
ricordo bene quella notte del 24 ottobre, gli animi tranquilli e spensierati, poiché come è risaputo la notte scaccia via ogni pensiero e ti apre la porta dei sogni e della serenità.
Alcuni soldati dormivano mentre altri facevano naturalmente la guardia.
Per il mio battaglione eravamo di guardia io e altri quattro compagni .Eravamo tutti molto stanchi e purtroppo, chi prima e chi dopo, crollammo tutti in un sonno profondo.
Dormii per circa due ore, o forse anche di più, fatto sta che venni improvvisamente svegliato da alcune urla di terrore; uno dei miei compagni di nome Orazio mi prese per le spalle e mi scosse violentemente: era stato colpito da qualche maceria in seguito ad un’esplosione e gli mancava un orecchio il resto del volto era gravemente sfregiato, mi guardava con gli occhi spalancati, pieni di terrore; mi guardai attorno e vidi il caos: gente che correva a destra e sinistra senza sosta, cadaveri a terra, colpi di arma da fuoco.
Orazio mi sollevò di forza e assieme cominciammo a correre nella direzione opposta rispetto alla trincea nemica, provarono a spararci ma senza alcun successo; entrammo in un bosco, e stremati, ci accampammo vicino a un albero. Purtroppo Orazio perdeva molto sangue e svenne, io ero ridotto allo sfinimento, mi accasciai al terreno e con le lacrime agli occhi mi addormentai sulle foglie secche autunnali. Aprii gli occhi lentamente, era mattina, guardai Orazio accanto a me, provai a svegliarlo ma niente, le sue ferite erano seriamente gravi, mi alzai in piedi a fatica, guardai il mio compagno defunto, mi voltai e cominciai a camminare nella stessa direzione verso la quale eravamo finiti il giorno prima.
E ora eccomi, qui, a scriverti al sicuro, anche se per poco, dato che gira voce che il generale Cadorna voglia farci riorganizzare sul Piave. Ho molta paura Giovanni, mi manchi. Inizialmente ero molto speranzoso, ma poi la guerra è risultata molto diversa dal previsto.
Non so se leggerai mai questa lettera visto che ultimamente la censura è molto rigida.

Dammi tue notizie, ti aspetto.”

Cristiano